FONTANONE DI GORIUDA
Dal sito dell'Università di Trieste:Il Fontanon di Goriuda è una sorgente che sgorga alla quota di 861 m sul versante sinistro della Val Raccolana, a Nord del Gruppo del Monte Canin. L'acqua fuoriesce da una cavità (20/1R) costituita da un'ampia galleria che si sviluppa per oltre 400 m con andamento sub-orizzontale, caratterizzata da laghi, sifoni e cascate. Il Fontanone scaturisce fra la formazione della Dolomia Principale e quella calcarea del Dachstein, ambedue del Triassico superiore. Il rio che ne emerge si getta con un'alta cascata nel Torrente Raccolana. Il bacino di alimentazione delle acque è costituito dalla vasta area ad altopiano che si estende a settentrione del Monte Canin ed è compresa a grandi linee tra il Pic di Grubia, il Pic di Carnizza, la cima del Canin, il Bila Pec e il Col delle Erbe tra le quote 1900 m e 2100 m. Un estesissimo sistema di reticoli carsici, che comprende alcune cavità tra le più importanti in Europa (Abisso M. Gortani 1487/585FR, Abisso E. Boegan 1361/555FR, Abisso Led Zeppelin 5947/3394FR), drena le acque verso il Fontanone. La sua connessione con alcune cavità del Massicccio del Canin era già stata provata all'inizio degli anni '80.
La sorgente di Goriuda ha carattere perenne e portata estremamente variabile (10 l/s in magra e 10 mc durante le piene). Più recentemente uno studio comparato delle portate, della piovosità e del chimismo delle acque ha permesso di definire che il sistema carsico alimentante il Fontanon è altamente trasmissivo, caratterizzato da un notevole sviluppo dei dreni principali in grado di rispondere molto velocemente (poche ore) ad eventi meteorici anche di non forte intensità.
Stambecchi sulla sella Bila Pec, sopra al rifugio Gilberti
Il fontanon del Goriuda è una tappa quasi obbligata nell'avvicinamento a Sella Nevea, lungo la Val Raccolana, prima di avviarci a raggiungere il rifugio Gilberti sotto al Monte Canin. La Cascata del sole, come viene denominato l'ultimo tratto della cascata d'acqua, dà vita con la sua nebulizzazione a giochi di figure effimere, trame di luce evanescenti armonizzate con i monti che si affacciano di fronte
Gli amici del Club Alpinistico triestino che incontreremo sul Canin tra poche ore, hanno effettuato negli anni numerose approfondite ricerche spleleologiche, inoltrandosi per diverse centinaia di metri con i loro sub nelle profondità del Canin.
Il fontanòn sgorga a 861 metri di quota a nord del gruppo del Canin da un'ampia galleria che si sviluppa per oltre 400 metri con laghi, sifoni e cascate. Arriva a far fluire fino a 10 mila litri d'acqua al secondo, tant'è che lo scorso anno il canotto con il quale gli speleosub si addentrano nelle cavità è stato spazzato a valle da una piena.
Per raggiungere il rifugio Gilberti a 1850 partiamo dalla base della funivia. Per raggiungerlo, percorriamo la bella faggeta formatasi sul substrato calcareo, ricca di faggi sciabolati per il peso della neve. Superiamo l'imperiosa parete orientale del Bila Pec, verticale, con diverse vie anche di settimo grado e giungiamo al centro del “Vallon del Prevala”, fra Sella Prevala e Bila Pec nel gruppo del Monte Canin, che con il Monte Forato e l’Ursic formano la lunga muraglia calcarea di confine con la Slovenia.
Il rifugio è in pietra, a tre piani, con 6 comode camerette da 2 posti, ed un camerone da 10 posti. Ma il suo punto di forza è senz'altro la dolce accoglienza di Irene e Margherita e la cucina di Fabio, che ci fanno pentire di fermarci solo due notti. Nei giorni precedenti la partenza avevo chiesto ad Irene, telefonicamente, se potevamo trovare motivo di sosta per più giorni, ovvero se c'erano bei percorsi da effettuare. La risposta mi ha fatto capire che potevamo stare lì una settimana assaporando uscite diverse: il Monte Forato, la Cima del Canin, il bivacco Marussich, la cima del Bila Pec, il Monte Sart ecc...
Decidiamo subito di avviarci lungo il percorso botanico, fino a raggiungere la sella Bila Pec, a 2005 metri di quota. Qui incontriamo un bel gruppetto di stambecchi.
Lo stambecco ti lascia perplesso quando lo avvicini: la sua distanza di fuga non è quella del camoscio, molto più timido. Si lascia avvcinare fino ad una decina di metri prima di emettere un suono di allarme per farti capire che le sue robuste corna potrebbero anche essere usate contro chi lo disturba.
Il suo corpo è tozzo, e le gambe corte e agili. Le corna incurvate all'indietro presentano protuberanze in numero proporzionale all'età ma gli individui che vediamo non solo giovani ma femmine. Queste si distinguono dal maschio per le dimensioni minori (30 cm meno del maschio, che può superare il metro e mezzo di lunghezza), per il peso, la metà dei maschi che pesano attorno ai 90 kg, e per le corna, più sottili e corte una trentina di cm, mentre quelle del maschio raggiungono quasi il metro, per 15 kg di peso!
Vediamo come questo gruppo di giovani si arrampica con disinvoltura sulle pareti del Bila Pec: ci riescono grazie agli zoccoli larghi ed elastici con articolazione indipendente adattata a spostamenti su pendii rocciosi. Se oggi riusciamo a vederli è perché all'inizio dell'800 l'unica colonia sopravvissuta alla caccia, nel Gran Paradiso, è stata posta sotto tutela ed oggi ha permesso la reintroduzione di questo ruminante in tutto l'arco alpino.
Li osserviamo mentre brucano costantemente l'erba, alternando momenti di ozio e, per i piccoli, di gioco. Durante la bella stagione possono consumare anche 20 kg di vegetazione erbacea al giorno, accumulando importanti riserve di grasso per l’inverno. Come gli altri ungulati è ghiotto di sale e sali minerali in genere che ricerca e lecca nelle rocce. Non disdegna nemmeno rametti di larice e altre conifere, muschi e licheni.
Il periodo degli amori per gli stambecchi è a dicembre e i cuccioli nascono verso maggio, così alcuni di quelli che osserviamo potrebbero avere appena 3 mesi. A circa 3 anni i maschi maturi sessualmente devono abbandonare il branco e quando verso i 6-7 anni raggiungeranno il massimo vigore fisico potranno aspirare a riprodursi con le femmine, dopo spettacolari combattimenti.