Como- Agosto 2015- Restauro della FONTANA di CAMERLATA
Nel nodo viario al centro della frazione, piazzale Camerlata, sorge una fontana monumentale intorno al quale si snoda il traffico automobilistico e, un tempo, anche tranviario.
L'opera, in calcestruzzo bianco, fu ideata nel 1935 da due comaschi: l’architetto Cesare Cattaneo e il pittore Mario Radice, quest'ultimo appartenente alla corrente dell'astrattismo.
Nonostante un'opinione popolare assai diffusa, il monumento - in quanto opera astratta - non intende affatto ispirarsi alla pila elettrica del celebre fisico comasco Alessandro Volta, ma piuttosto vuole comunicare un'idea di movimento razionale e ordinato al centro dello snodo di traffico per il quale era stato progettato:
« Opera di decorazione pura, esaltazione di belle forme ottenute con geometrica perfezione ... senza pretese di contenuto letterariamente simbolico o di destinazione funzionale »
(Cesare Cattaneo e Mario Radice, nella presentazione allegata al progetto)
La fontana venne materialmente realizzata nel 1936, in occasione della sesta Triennale di Milano: fu esposta inizialmente nel Parco Sempione di Milano e venne accolta da commenti molto positivi della critica.
Demolita nella seconda guerra mondiale, venne ricostruita nel 1960 a Como e posta nella posizione attuale, integrata in una delle piazze di accesso alla città. Damiano Cattaneo, figlio dell'architetto Cesare Cattaneo, definì la struttura un monumento al traffico, che va ammirato dal traffico.[2]
Tra gli anni ottanta e il primo decennio del XXI secolo è stata avanzata a più riprese la proposta di trasferire la fontana in piazza Cavour, la piazza principale di Como sulle rive del lago. L'idea è stata più volte bocciata per la sua inconsistenza architettonica e urbanistica.
Realizzazione video di Miriana Ronchetti
La FONTANA monumentale del CAVATORE a CATANZARO ♥
Realizzato nella seconda metà del Novecento, dal noto artista calabrese Giuseppe Rito, il Cavatore(ossia l’uomo che scava la roccia) è un’imponente scultura in bronzo su base di granito, posta in una nicchia incastonata nelle mura del Complesso monumentale del San Giovanni. Interessante il contrasto cromatico che si crea fra il bronzo della statua e il granito del bassorilievo, da cui sgorga l’acqua della Fontana. La statua domina su Piazza Matteotti, e simboleggia il duro lavoro, nonché la forza e la costanza dei catanzaresi, che da secoli affrontano i disagi di una terra povera e i disastri provocati da una natura severa.
Era il 4 settembre 1984 quando, alle ore 7.50, il Cavatore fu ricollocato all’interno della fontana di piazza Matteotti, dopo essere stata spostata e “confinata”, in una desolata e desolante incuria, nel cortile della casa del custode di “Villa Trieste” per ben 14 anni. In quegli anni fu forte la denuncia in merito allo stato di completo abbandono del bronzo di Rito.
La statua giaceva lì sin dal 1970 da quando, per effetto del crollo di parte del muraglione di cinta ottocentesco delle vecchie carceri, fu rimosso per motivi di sicurezza. Fu la visita pastorale di Giovanni Paolo II che spinse l’amministrazione comunale del tempo a riprendere e a rinnovare il maquillage della città e, tra i tanti interventi, fu compreso il ripristino della monumentale fontana del Cavatore.
«Coricato per terra come un gigante schiantato dalla folgore nella tetra carcere di un magazzino» lo vide per la prima volta Lionello Fiumi che così lo definì in un suo articolo del 1954, favorevolmente colpito dalla possenza del bronzo appena arrivato dalla Fonderia Chiurazzi di Napoli e in attesa della definitiva collocazione, avvenuta, successivamente, nel gennaio del 1956. L’idea di collocare un “gigante di bronzo” nelle mura ottocentesche di quello che fu il “Castel S. Giovanni” e, precisamente, nell’esedra centrale prospiciente la piazza Matteotti, fu proprio di Rito e lo testimonia Bruzzi al quale lo stesso scultore, durante una delle tante passeggiate serali di ritorno a casa, disse: «Vedi questa nicchia? Non ti sembra l’ovale naturale d’una grande cornice? In questa anche se non mi daranno una lira … questi … amministratori del Comune e della Provincia, voglio collocare un gigante: un gigante di bronzo, un artiere bruzio che a colpi di piccone faccia spillare un torrente d’acqua viva e pura dalla Sila, dalla terra dei Bruzi, la terra dei tuoi avi». Il progetto, in effetti, si concretizzò e Rito, tra il 1951 e il 1954, lavorò alacremente al suo Cavatore e su mandato di quegli amministratori i quali, inconsapevolmente, con il progetto della fontana monumentale eressero quello che, indiscutibilmente da sempre, rappresenta per la città il suo stesso simbolo quello cioè «del vero proletariato del Sud, con i muscoli possenti, tranquillità serena di volto, fortezza di espressione, impeto cosciente di lavoro, senza rassegnazione e senza fatalismi, senza l’assillo della miseria e la ricerca dell’emigrazione, ad ogni costo, ma come fattore determinante di una vita nuova: più tranquilla».
La scultura fu voluta dal Comune, dall’Amministrazione Provinciale e dall’Ente del Turismo, la sistemazione complessiva della fontana fu redatta dall’ingegnere del comune Gustavo Pavone, mentre il progetto, come testimoniano alcune foto d’archivio, fu pensato e ideato dallo stesso scultore attraverso un modellino in creta. L’idea di Rito non fu mai tradita, anche se, esigenze di natura tecnica, portarono a ridurre l’ammasso roccioso granitico sul quale doveva ergersi l’opera dello scultore. In realtà, nel bozzetto preparatorio, la figura vigorosa del Cavatore è immersa in un ambiente roccioso, il cui picco più alto doveva raggiungere l’imposta del catino della grande nicchia, nel quale Rito oltre a «impersonare …tutta la Calabria, di questa che fu detta “la Montagna del Mediterraneo”», voleva «soprattutto, lasciare ai posteri, ai figliastri di “questa roccaforte bizantina, costruita su di un colle come la vollero i fondatori, occhio di falco fra Tirreno e Ionio, con il vento, che agro, vien già da una Sila selvosa e selvatica”, il mio nome».
Ivrea 50. Mezzo Secolo di Nuovo Teatro in Italia 1967 - 2017
Ricorrono i cinquant'anni del Convegno di Ivrea, quegli “stati generali” della nuova scena italiana, come li definì a posteriori Franco Quadri, durante i quali, nel giugno 1967, si palesò l' esigenza di un' autoaffermazione, l' urgenza di dichiarare esistenti una nuova e originale vitalità creativa, un nuovo insieme di pratiche, un modo nuovo di pensare e fare teatro.