Tempio di vesta ( roma )
Il tempio di Vesta è un piccolo tempio rotondo (tholos) situato all'estremità orientale del Foro Romano a Roma, lungo la via Sacra accanto alla Regia ed alla Casa delle Vestali: insieme a quest'ultimo edificio costituiva un unico complesso religioso, con il nome di atrium Vestae. Il tempio di Vesta è probabilmente tra i più antichi di Roma, risalente forse all'epoca in cui la città era ancora limitata al Palatino e costituita da un'aggregazione di villaggi e quindi prima della realizzazione del Foro.
La conservazione del fuoco (risorsa e bene di straordinaria importanza) era un problema che comportava delle notevoli difficoltà; sia Virgilio che Ovidio riferiscono che all'epoca si otteneva col primitivo e laboriosissimo sistema dello sfregamento delle selci. Da qui la necessità di realizzare una struttura pubblica che fosse finalizzata alla conservazione, con personale addetto, di una risorsa sempre disponibile per i bisogni dell'intera comunità. Per la mentalità antica era quasi una logica conseguenza che la struttura divenisse tempio ed il personale assumesse il ruolo di sacerdote (nello specifico, sacerdotesse). Il tempio diventava così simbolo di aggregazione della comunità e dispensario di un bene primario.
Quando, da Servio Tullio in poi, il processo di aggregazione urbana coinvolse anche le genti stanziate sui colli vicini, il simbolo stesso dell'aggregazione assunse una forte connotazione politica. Non essendo pertanto più possibile mantenerlo limitato al nucleo Palatino, venne trasferito nell'area che sarebbe poi diventata il Foro e che stava assumendo la caratteristica di luogo d'incontro e di scambio commerciale tra le genti circonvicine, sul tipo dell'agorà greca.
Il significato del tempio era anche quello di rappresentare il focolare domestico più importante, connesso alla vicina casa del re, che rappresentava tutti i focolari dello Stato. Le prime sacerdotesse incaricate di sorvegliare il sacro fuoco erano le figlie del re. Le Vestali divennero poi l'unico sacerdozio femminile a Roma. Esse erano sei, con vari compiti, e provenivano tutte da famiglie del patriziato. Restavano vestali per trent'anni, a partire dai 6 o 10 anni, e dovevano rispettare un severo voto di verginità, pena la morte per seppellimento essendo sacrilego versare il sangue di una vestale. In cambio ricevevano prestigio, tributi pecuniari e onorifici, oltre a una numerosa serie di privilegi.
Gli autori antichi riportano concordemente l'origine del tempio di Vesta nell'età regia, ma, a causa probabilmente della costante presenza del fuoco, il tempio, nella sua sistemazione all'interno del Foro, subì numerose distruzioni per incendio e fu più volte ricostruito, mantenendo sempre l'identica pianta, ma aumentando in altezza.
La sua forma circolare venne ricondotta sia dalle fonti antiche (Ovidio, Fasti, 6, 261-262), sia nei primi studi archeologici, alla forma delle originarie capanne della Roma dell'VIII e VII secolo a.C., a causa anche della antichissima istituzione del culto di Vesta nella religione romana.
Lato interno
Il tempio fu interessato dagli incendi del 241 a.C. e del 210 a.C. (in seguito al quale si ebbe un esteso rimaneggiamento anche della casa delle Vestali). Alla successiva ricostruzione del tempio appartenevano probabilmente i resti di una profonda fondazione circolare in cementizio. Questa era dotata di una fossa centrale, che costituisce forse il ricettacolo di oggetti sacri del culto, di cui parla Varrone (poenus Vestae, passo conservato nell'opera di Festo, 296 L), ovvero la fossa per le ceneri del fuoco sacro.
I resti dell'elevato di un podio in blocchi di tufo dell'Aniene, che sorgono sopra la fondazione, in passato attribuito ad una ricostruzione di epoca augustea dopo l'incendio del 14 a.C., sono stati in seguito attribuiti ad epoca più antica (I secolo a.C.).
Roma - Basilica di Santa Maria in Cosmedin - chiesa greco ortodossa - interno - videomix
La facciata a forma di capanna della chiesa presenta un portico con sette arcate, cui si sovrappongono sette finestre; in posizione decentrata, sulla destra dell'osservatore, si erge il bel campanile romanico risalente al XII secolo che si eleva dal tetto per sette piani, con bifore e trifore, e decorato da maioliche colorate.
Sotto il portico, il monumento di Alfano che curò per conto del papa Callisto II i restauri della chiesa. L'interno della chiesa, tre navate, separate da pilastri e da diciotto colonne di varia provenienza. Il soffitto è ligneo, costituito da capriate, mentre il pavimento è arricchito dagli smalti e dagli ori dei mosaici cosmateschi, oltre che da superfici marmoree, levigate dal corso del tempo.
Qui si possono ammirare la schola cantorum proprio a metà della navata centrale, la cattedra episcopale, il ciborio gotico dell'altare maggiore (opera di Deodato di Cosma) e l'altare di granito rosso posto sul fondo dell'abside risalente al 1123.
Sulla sinistra del portico è visibile e visitatissima la famosa Bocca della Verità, davanti alla quale talvolta lunghe file di turisti attendono il proprio turno per farsi fotografare con una mano dentro la fessura di quello che, con grande probabilità, non era altro che un chiusino romano. All'interno vi è anche un reliquiario contenente un teschio accreditato a san Valentino. Anche se l'omonimia fa pensare al patrono degli innamorati, e quindi lo fa apprezzare dai turisti, non si tratta del santo venerato il 14 febbraio, ma di un omonimo, un corpo santo (martiri inventi).
La reliquia della testa di Adautto, santo martire di Roma, è a Santa Maria in Cosmedin. Adautto, molto probabilmente, è il martire che fu sepolto con Felice in una cripta nei pressi del cimitero di Commodilla sulla via Ostiense. Papa Siricio (384-399) costruì una piccola basilica sulla loro tomba restaurata ed abbellita in seguito da Giovanni I (523-526) e Leone III (795-816). Leone IV (847-855) donò loro reliquie ad Ermengarda, moglie di Lotario. La chiesa di Santa Maria in Cosmedin conserva altre teste di martiri inventi: Angelo fanciullo, Benedetto, Benigno, Candida, Candido, Concordia, Desirio, Desiderio, Giuliano, Ippolito, Placido, Romano e Valentino. Quest'ultima reliquia, posta in un altare del VI secolo nella cripta, viene esposta ornata di rose. L'Inventario (1870) prosegue con le reliquie del cranio dei martiri: Adriano, Amelia, Antonino, Clemenza, Generoso, Generoso, Ottavio e Patrizio. Infine riporta la menzione della gamba di Olimpia e di quella di san Giovanni Battista de Rossi.
Nella sagrestia è conservato un prezioso frammento di un mosaico raffigurante l'Epifania, che originariamente si trovava nella basilica di San Pietro.